lunedì 27 ottobre 2014

Siamo tutti gaffeur.....

Capita spesso a tutti, direi spessissimo, di sentirsi fare domande poco appropriate per non dire inopportune. La domanda sorge spontanea.....perché?
Perché certe persone non pensano prima di parlare? Perché non ricordano il detto: prima pensa, poi parla perché parole poco pensate portano peso?

A pensarci bene però questo pensiero ci viene quando siamo noi a subire la domanda inopportuna.
Io per esempio avevo una collega che tutte le volte che mi vedeva (e dico "tutte") mi chiedeva se per caso fossi zoppa. A parte il fatto che non lo sono ma ho soltanto un fastidioso (per me e non per lei!) problema al femore che quando sono stanca mi porta a trascinare un po' la gamba, non mi sono mai chiesta veramente cosa la spingesse ad insistere.

E quando invece siamo noi a fare la domanda? Per esempio a chiedere alla giovane coppia, sposata ormai da qualche anno, come mai non abbia figli?

Non è che per caso tante domande si fanno senza pensarci troppo? Così per il puro gusto di fare conversazione, magari anche sforzandosi di mostrarsi gentili e interessati?

Troppo spesso pensiamo - a torto - di essere al centro degli altrui pensieri. E invece, come è scritto sull'ultima pagina del bellissimo libro di Sandro Veronesi "caos calmo", la gente pensa a noi infinitamente meno di quanto crediamo.

Prima di offenderci dovremmo sempre fermarci a riflettere.

Quando avevo i capelli corti corti a causa della chemio, un'amica mi disse, senza pensarci troppo: stai bene! Assomigli a quella cantante, Giuni Russo.
Giuni Russo era morta qualche settimana prima proprio per cause simili a quelle che avevano colpito me. Potevo offendermi o restarci male. E invece le ho detto no ti prego....io voglio vivere!

Lei solo a quel punto ha realizzato e ci siamo fatte una grande risata.

Ci sono ovviamente anche i casi di chi offende volutamente (quella non è gaffe, è cattiveria!). Ma in quel caso a soccorrerci arriva quel genio incompreso di Anna Tatangelo che una volta disse a Morgan...quando la persona è niente l'offesa è zero!

martedì 7 ottobre 2014

Il closing

Nelle ultime settimane sono stata assente dal blog e dalla mia vita lavorativa di tutti i giorni (con grande dolore del collega di stanza che si lamentava perché non lo ascoltavo) perché ho dovuto preparare un closing. Me ne sono occupata io perché c'erano aspetti concorsuali da verificare e considerare nel corso di tutta l'operazione.

Devo dire che mi sono anche divertita.

Ieri sera finalmente abbiamo firmato a Livorno....dopo una lunga giornata iniziata presto, intervallata da pranzo in autogrill e conclusasi con cena sempre in autogrill. 

Stamattina mi sono ricordata che tempo fa un Notaio di Milano aveva scritto un testo molto divertente e soprattutto vero proprio sul closing.

Eccolo qui:

Avete notato che, ultimamente, quando telefonate a quei notai un po’ spocchiosi che vengono da quella città d’Italia dove fanno di tutto per attirarsi le antipatie dei colleghi (che colgono senza esitazioni la palla al balzo), le loro centraliniste (mani curate e minigonna, senza panino alla frittata nel cassetto) non rispondono più “il notaio sta stipulando”, ma “il notaio è impegnato in un closing”?
Che cosa sarà mai sto misterioso closing? Cosa avrà mai di diverso da una normale stipula, da consentire alla centralinista di farsi ancor più bella usando un’espressione inglese?
Perché una stipula sia definita “Closing” è necessario che siano soddisfatti contemporaneamente alcuni requisiti.

1) Devono essere coinvolte una pluralità di figure professionali e soprattutto non meno di una decina di avvocati che avranno cura di designare il notaio comunicandogli una data prossima e non modificabile. Che il notaio abbia fisssato altri appuntamenti è variabile non considerabile.

2) Deve essere garantito ai professionisti coinvolti (ma anche, anzi soprattutto alle banche) il pagamento di fees (non ci si azzarsi a chiamarle parcelle o commissioni) per un importo totale che si avvicina al PIL di uno stato africano. Quanto al notaio, al massimo ci si sorprenderà, perché chiede che siano in breve tempo rimborsate quelle migliaia di euro che è costretto ad anticipare all’Agenzia delle Entrate.

3) Deve avere elementi di internazionalità conclamata o indotta. Per non svilire il Closing, quando nessuno dei soggetti coinvolto ha sede fuori dalla cerchia dei navigli, si cerca perlomeno di stipulare il finanziamento a Lugano o di fare in modo che intervenga un soggetto cui sono stati conferiti poteri con procura bilingue (anche se rilasciata da società italiana con atto di notaio italiano). Si narra in città di un preclosing (cioè di un appuntamento in cui si controlla che tutte le carte sia a posto) in cui dopo un’ora di conversazione in inglese un temerario osò chiedere se fosse presente alla riunione qualcuno non italiano, ricevendo risposta negativa. E’ comunque indispensabile che le e-mail (circolarizzate ad almeno una ventina di persone) siano scritte in inglese.

4) Deve essere utilizzato un linguaggio iniziatico che i neofiti, per essere ammessi al “deal” devono fingere di capire pena pesanti sanzioni sociali. I finanziamento (sorry “loans”) deivisi in “linee” sono “senior” o “bridge” e comunque in quanto “leva” si “tirano”. Il consiglio è sempre “board”, le telefonate sono in “conference”; quando si presenta l’avvocato del “mezzanino” bisogna abbozzare dando l’impressione di avere la situazione sotto controllo. Pegni ed ipoteche non si cancellano, ma si “rilasciano” e l’equivoco in cui può cadere chi considera rilasciare sinonimo di concedere può portare a conversazioni surreali.

5) I contratti non possono prescindere da un congruo apparato di promesse (a volte chiaramente indispensabili come quando, molto opportunamente si precisa che il “venditore ha intenzione di vendere e il compratore ha intenzione di comprare”) e di definizioni. Sbaglia chi pensa di trovare nelle definizioni la chiave di decrittazione del linguaggio da iniziati di cui al precedente punto; al massimo scoprirà che “Prezzo: è la somma pagata quale corrispettivo dall’acquirente al venditore”. Pensi piuttosto a controllare che tutte le parole definite siano scritte con l’iniziale maiuscola.

6) Deve essere garantito un servizio di catering. Non ci si deve però aspettare una proporzionalità tra qualità del cibo e vantaggi dell’affare concluso. Ricordo di una meravigliosa tempura di gamberi offerta in terrazza da una banca che si è poi amaramente pentita del finanziamento concesso. Al contrario, in occasione di una delle più riuscite operazioni di Private Equity realizzate in Italia, furono somministrati panini la cui digestione si è rivelata più laboriosa del rimborso dei finanziamenti

Solitamente i closing vengono fissati (anzi prenotati) e disdetti un paio di volte, prima che arrivi il fatidico giorno in cui l’agenda deve essere “barrata” perché i partecipanti al closing non sopportano l’interruzione neppure per un atto notorio.
L’appuntamento è fissato per la prima mattina, ma fino alle 11 non si può partire perché qualcuno è inesorabilmente bloccato in autostrada o perché l’aereo non è ancora atterrato.
Nel frattempo in convenuti si dedicano alla consultazione dei laptops, a conversazioni al cellulare o alla semplice lettura dei quotidiani.
Quando squilla un telefono tutti si gettano sul loro blackberry sul quale, con originalità, hanno impostato la medesima suoneria (quella che riproduce il trillo dei telefoni in bachelite e che rimanda alla prima scena di “C’era una volta in America”, quella con De Niro nell’oppieria). Sarà un successo se, a fine giornata, tutti andranno a casa col loro telefono e non con quello identico del vicino di posto.
Completato il raduno, segue un non breve momento di sbandamento in cui nessuno si decide a prendere il comando (Regia, in maiuscolo, secondo il metodo delle definizioni) delle operazioni, ossia a brandire quella tabella di Word (Closing Agenda) nella quale sono dettagliatamente elencate, in ordine cronologico, le attività di giornata ed i soggetti, in ciascuna di esse, coinvolti.
In questa prima fase l’attività notarile, esclusiva se la regia è affidata ad altri, non è tanto volta al controllo di legalità o all’adeguamento (perché sui testi si è lavorato per giorni con scambi di bozze), ma ad una più prosaica protezione degli originali dal rovesciamenti di caffè che è veramente indelebile, ma non nero come prescrive il Regolamento Notarile e quindi non idoneo alla scrittura.
Si passa quindi alla fase della lettura degli atti (durante la quale i soli ad essere attenti sono coloro che non firmeranno, cioè gli avvocati) ed a quella della sottoscrizione riguardo alla quale rimane inspiegabile il sottile piacere che precisano “ma se è leggibile non è la mi firma” o che tentano di ottenere dal notaio uno sconto consistente nell’autorizzazione a “siglare” o “inizializzare gli allegati”.
Quando arriva il momento della firma più importante, quella da apporre sul trasferimento della proprietà, le parti si irrigidiscono sulle loro posizione, pronte a far saltare un affare al quale hanno lavorato per mesi.
“Io non firmo se non vedo i soldi”
“Io non pago se tu non firmi”
Perché i soldi del closing, non sono mai rappresentati dai vecchi e concreti assegni circolari, ma affidati ad un bonifico che, se va male, deve arrivare dall’estero.
Soccorre allora l’esperienza dell’avvocato che ne ha visto molte, il Senior Partner dello studio internazionale, che ha pronta la magica soluzione: “adesso firmiamo facciamo partire il bonifico e lei, notaio, tiene fermo l’atto fin quando non arrivano i soldi”.
Tenere fermo?! Hai voglia a spiegare le regole dell’atto pubblico, che i contratti firmati non si tengono fermi ma al limite si risolvono, l’unica soluzione sembra quella di mostrare apprezzamento per la raffinate soluzione giuridica proposta.
Parte allora la lunga attesa del bonifico solitamente coincide con il pranzo (circostanza utile a far pensare “che il collega si è reso comunque disponibile anche durante la pausa”) e con la seconda parte dell’attività notarile di vigilanza sull’originale, che si concreta dapprima sulla maionese che sbrodola dai panini per passa alla Coca Cola e ritornare infine al caffè.
Personaggi centrali di questa fase diventano i funzionari di banca che, dopo aver atteso come la manna la comunicazione del numero di CRO, si collegano con il digiunante collega della sede chiedendo “Li vedi? (i soldi ndr)”, mentre tutti gli altri cercando di indovinare la risposta dall’espressione del viso.
La tensione si impadronisce allora della sala per un qualche tempo fino a che, quasi che le banconote fossero arrivate svolazzando come il tappeto di Aladino, funzionario conferma che “li vede”.
Si scioglie allora in un sorriso il viso del venditore che vede il suo conto aumentare di svariati milioni di euro (ricordiamo che fino a pochi minuti prima non si fidava ad apporre la firma sul contratto mentre ora si sente garantito da una telefonata al cui altro capo potrebbero esserci amici del mago Do Nascimento), si stringono le mani e si stappa la bottiglia, mentre di corsa tutti si salutano, infilano le giacche e cercano di raggiungere la porta, inseguiti dagli strilli del notaio cui rimane da verbalizzare un assemblea totalitaria di trasferimento sede, raccogliere le firme sui modelli Fedra, far firmare i libri sociali di cui deve rilasciare estratti certificai in giornata e portare a termine altre formalità di cui tutti ormai si disinteressano.
Si allontana per ultimo il notaio, con la borsa piena di atti da registrare, anticipando le imposte, la mattina seguente, pensano al collega del distretto vicino, quella con la centralinista bruttina, che quello stesso giorno ha stipulato qualche vendita di condominio con mutuo, totalizzato un repertorio minore (così non avrà da temere neppure l’aumento delle sedi) ed incassato subito più si quanto lui, per il closing, incasserà tra qualche mese.