giovedì 28 giugno 2012

la funzione terapeutica dei macarones



Il macaron è uno dei dolci più buoni al mondo!
È un pasticcino formato da due meringhe - rotonde e piatte - sovrapposte e nel mezzo crema, marmellata o crema ganache (detta anche crema parigina che si ottiene mescolando panna e cioccolato).
I più famosi sono quelli della pasticceria francese Ladurée (http://www.laduree.fr/ ) ed in effetti la paternità dei macarones francesi (colorati e farciti) la si deve proprio a Pierre Desfontaines della French pâtisserie Ladurée.
Ce ne sono di tutti i gusti e per tutte le stagioni e vederli esposti nella 'fresca' (perché i macarones non sono biscotti ma pasticcini e devono stare al fresco!) vetrina di Ladurée è uno spettacolo.
La pasticceria francese in questione è una tradizione sin dal 1862 ed passata all'onore delle cronache quando qualche anno fa Sofia Coppola l'ha utilizzata nel suo film su Maria Antonietta (che nella parte ludica della sua vita, quella delle brioche per intenderci, organizzava feste, indossava scarpe di Manolo Blahnick e, per l'appunto, offriva sontuose torte decorate da Ladurée).
Ladurée ha aperto anche a Milano. Il negozio è solo più nuovo di quelli di Parigi ma lo stile è identico: arredamento verde chiaro in perfetto stile francese Luigi XVI, profumo di dolce, commesse eleganti e un trionfo di macarones. Se si vuole fare un regalo, Ladurée propone elegantissime scatole che contengono da 2/4 a svariate decine di macarones. C'è solo l'imbarazzo della scelta.
Ecco se mi sento un po' giù, a volte basta un salto da Ladurée. Quell'atmosfera fuori dal tempo, quel profumo  ….un solo macaron (a scopo terapeutico, appunto!) ed è fatta.
Un macaron costa c.ca 2 euro e, considerate le dimensioni, non dovrebbe avere molte calorie (una stima precisa è impossibile perché dipende molto dal ripieno).
Direi però che si può fare!
Se poi si vuole imparare a prepararli, da Kitchen a Milano in Via De Amicis, 45 (www.kitchenweb.it) organizzano dei corsi...attenti però alle calorie!

martedì 26 giugno 2012

La verità è che non gli piaci abbastanza

È il titolo pieno di significato di un film leggero di qualche anno fa.
Il film è una commedia a lieto fine che in fin dei conti smentisce il titolo stesso: lei insegue uomini a cui probabilmente non piace e lui, che da amico tenta di spiegarle come si comportano gli uomini a cui non piaci abbastanza, alla fine si innamora di lei ...e vissero felici e contenti. Accanto a questa storia principale se ne snodano altre dal contenuto più o meno simile.

Non c'è più cieco di chi non vuol vedere e - aggiungo io - non c'è nessuno al mondo più bravo di una donna 'infatuata' a non vedere la realtà!
La verità è una sola. Se un uomo non scrive o non chiama non ha avuto nessun imprevisto, non è fuori città (e anche se lo fosse la cosa sarebbe irrilevante), non è molto impegnato...molto più semplicemente, non scrive. I motivi possono essere i più vari: non ha voglia, non ci pensa, ha capito che è quello che la donna si aspetta e non vuole creare illusioni (anche in questo caso non ha particolare considerazione per la donna in questione ma più semplicemente non ne è attratto più di tanto; in caso contrario alle possibili conseguenze del suo comportamento non penserebbe). Tutto questo porta ad un'unica conclusione: non è particolarmente interessato. Trova la donna simpatica, carina e attraente, se la incontra o lei lo chiama è sinceramente contento e gentile. Potrebbe (e spesso lo fa) spingersi anche oltre. Punto. Non c'è storia e mai ce ne sarà.
Per mandare un sms ci vogliono dai 2 ai 3 secondi, per una breve telefonata pochi minuti e lo stesso per mandare una mail. Tutti abbiamo tempi morti (ammesso e non concesso che si sia talmente impegnati da dovere aspettare un tempo morto), anche Barack Obama, durante i quali  possiamo concederci un pensiero affettuoso per una persona che ci piace o a cui teniamo. Se non lo facciamo è solo perché non ci piace o non ci teniamo. 
Se un uomo non scrive o non chiama è giustificato solo nei tre seguenti casi:
1. Ha avuto una crisi spirituale ed è rinchiuso in un convento di clausura;
2. Ha avuto un'incidente. È vivo (se non lo fosse sarebbe altrettanto giustificato!) ma è a letto con le gambe in trazione ed entrambe le braccia ingessate;
3. Sta volando dall'altra parte del globo (è ovviamente giustificato solo per le ore di volo effettivo, esclusi eventuali scali!)
In tutti gli altri casi, la conclusione è nel titolo del post.
Le amiche (e forse qualche volta l'ho fatto anch'io) dicono: ma vedrai che chiamerà. È solo impegnato, ci sta pensando. In fondo anche tu non lo stai chiamando.
Le prime due sono giustificazioni che le nostre amiche danno a loro stesse memori di quando ci sono passate; la terza è una c.... 
La regola del corteggiamento non è cambiata. Gli uomini corteggiano le donne. Certo le donne possono dare segnali, mostrarsi disponibili ma è un uomo che ci deve invitare a cena!
Non è vero neanche che gli uomini non capiscono, che le donne sono brave a sfogarsi con le amiche e a non fare capire nulla quando finalmente lui avrà chiamato o peggio lo avranno chiamato. Falso. Loro (gli uomini) avvertono l'inquietudine di fondo e se la danno a gambe levate!
D'altra parte se le donne  sono bravissime a capire quando un uomo le corteggia perché non dovrebbe valere il contrario?

Il mondo è pieno di uomini che scrivono o telefonano alle donne che amano.
Se non si ha a che fare con uno di loro bisogna guardare oltre.
Perché la dignità di una donna vale più di qualunque uomo anche se di nome si chiama Brad o George e di cognome Pitt o Clooney!


sabato 23 giugno 2012

I....come intimo

Qualche anno fa, la mia amica F. (ciao Franci!) mi ha regalato un libro leggero e delizioso, 'Elegance' di Katheleen Tessaro, Salani Editore (sottotitolo: L'eleganza dà fiducia in se stessi, la fiducia attira l'amore e l'amore vero non passa mai di moda).

È la storia di una giovane donna inglese che non è riuscita a realizzare i suoi sogni (avrebbe voluto fare l'attrice) e conduce una vita ordinaria e triste convinta che tanto le cose non possano cambiare. Il suo guardaroba, come lei stessa lo definisce, è quello di un'irlandese ottantenne che non si cura delle apparenze.

Le piace frugare tra gli scaffali delle librerie di Charing Cross e per caso si imbatte in un libricino dal titolo 'Elegance', appunto. È una guida all'eleganza di Madame Dariaux (il libro è del 1964 ed è stato recentemente ripubblicato da Mondadori con il titolo di 'Guida all'Eleganza') Secondo Madame Dariaux l'eleganza è "una forma di armonia non dissimile dalla bellezza, ma se quest'ultima è assai più spesso un dono di natura, la prima è un'opera d'arte".


Elegance è  un libro lieve (come questo blog!) che non ha in alcun modo la pretesa di sostenere che l'eleganza di una donna è alla base della felicità o della realizzazione ma lo spunto di partenza è interessante e vero.
Parte tutto da noi. È come l'invito a vedere il bicchiere mezzo pieno o il detto 'aiutati che Dio ti aiuta'. Il cambiamento, la fiducia in noi stesse e la stima di noi stesse dobbiamo volerli e crederci noi per prime.
La protagonista del libro si accorge che in fondo le piace curarsi di se stessa ed essere 'elegante' (non solo esteriormente) e, dopo aver curato l'aspetto esteriore, passerà a guardarsi dentro. Del resto le due cose sono inscindibilmente collegate. Una donna stanca, stressata o profondamente infelice potrà essere anche elegantissima ma le starà tutto 'appeso' (penso che renda l'idea!), come se non le appartenesse.

Anch'io nel mio piccolo ho tratto ispirazione da quel libro quando sono arrivata al capitolo I come Intimo.
Madame Dariaux sostiene che 'anche se la biancheria intima di una donna può ridursi a due pezzi, questi dovrebbero come minimo essere coordinati' ed ancora 'quando vi vestite pensate che più tardi vi spoglierete e davanti a chi' (vabbè forse non sempre è bene pensarci!).

Mio padre mi racconta sempre che mia nonna (che si chiamava Lia come me!) raccomandava l'uso di biancheria coordinata ed in ordine per il caso in cui ci fosse stato un incidente: se ti devono spogliare all'improvviso non puoi avere i calzini bucati!

Senza bisogno di arrivare a tanto credo anch'io che la biancheria intima (non necessariamente firmata o ricamata) sia lo specchio del nostro livello di trascuratezza o sciatteria (tutti ne abbiamo un po'. Credo sia nella natura umana perché in fondo è più comodo). Io uso biancheria - diciamo comoda - la notte. Prima di andare a dormire faccio la doccia e indosso (anzi indossavo prima di leggere Elegance!) quella mutadina rimasta spaiata o il cui elastico ha un po' ceduto o che è rimasta gravemente compromessa da un lavaggio sbagliato, ecc.

Quando ho letto quel capitolo del libro mi sono accorta che anch'io come Louise (la protagonosta del libro) avrei dovuto seguire i consigli di Madame Dariaux (perché anche per dormire si può evitare di essere sciatte). Detto fatto: la mattina dopo ho buttato via tutto il mio parco biancheria intima notturna e l'ho sostituito con cose semplici e comode ma di colore uniforme!
E mi sono sentita meglio....


mercoledì 20 giugno 2012

due di tutto...

In occasione dei mondiali del 2006, Daria Bignardi ha raccontato su Vanity dei suoi mondiali al baretto del lido dove si trovava in vacanza.
Io quest'anno, in occasione degli Europei 2012, potrei molto più sommessamente raccontare (per fortuna posso ancora!!) dei miei Europei nello studio di casa.
Eh si perché non abbiamo più il televisore grande.

Ne avevamo uno neanche vecchissimo ma non di ultima generazione (credo fosse schermo piatto ma con il tubo catodico). Funzionava ed era collocato su un mobile ikea. Si era detto: quando compreremo il mobile definitivo (ci siamo trasferiti nella nuova casa da pochi anni) cambieremo anche la TV.
Il mobile nuovo è appena arrivato e il televisore (peraltro pesantissimo e quindi potenziale danno per il mobile) è stato donato in ospedale. Il reparto al quale lo abbiamo donato ne aveva uno ancora più vecchio senza decoder, che veniva utilizzato per attaccare gli avvisi!

Mi fa piacere pensare che i malati e chi li assiste possano vedere gli Europei e le olimpiadi; quando sei in ospedale le giornate possono essere anche lunghissime.

A questo punto avremmo dovuto comprare il televisore nuovo ma George non si è ancora deciso.
Morale: si sta benissimo e neanche mi ricordo che prima lì c'era un televisore nonostante siano trascorse solo poche settimane.
Certo ne abbiamo un'altro piccolo ma lo si accende solo se necessario (solo se si sa già che sta per andare in onda qualcosa che vogliamo vedere come la partita dell'Italia). Lo zapping fine a se stesso non parte più perché il telecomando dello studio non è a portata di mano.

Penso che l'evoluzione tecnologica sia uno di quei fenomeni che ci fanno avere la casa piena zeppa di cose inutili che, anche se funzionano, vengono continuamente sostituite da altre solo perché più belle e all'avanguardia. In casa abbiamo almeno due di tutto dalle pentole al videoregistratore (o quello che lo ha sostituito).
Non sono contro la tecnologia ma contro lo spreco si.

Mi chiedo quale potrebbe essere la soluzione? Forse limitare gli acquisti alle cose veramente necessarie, evitare il collezionismo di cose come vhs o dvd che presto o tardi non potremo più vedere.
Utilizzare le cose fino a quando funzionano e non sostituirle solo perché è stato messo in commercio il modello più avanzato? In fondo lo facciamo con il ferro da stiro e con la lavatrice, perché allora non farlo con tutto?

Un'amico di George ci ha regalato una scatola piena di cassette musicali (ci sono anche delle compilation che adesso non fa più nessuno).
L'altra sera durante una cena con amici abbiamo ascoltato (ovviamente noi abbiamo due mangiacassette. Si, si chiamano così!) Barry White e i Bee Gees. E quando ho chiesto a George: ma perché le ha date a noi?
Perché non poteva più ascoltarle. Lui (l'amico di George) il mangiacassette non ce l'ha più (probabilmente lo ha sostituito!!)

lunedì 18 giugno 2012

Terminator

Ho trovato questa definizione in una vecchia rubrica di Beppe Severgnini su IO Donna che descriveva esattamente quelli come me...il terminator, appunto.
Laddove per terminator si intende colui il quale non butta mai una cosa se non è completamente finita o (aggiungo io) distrutta/inutilizzabile. Dal tubetto del dentifricio al sapone.
Io ci godo proprio nel buttare una cosa solo quando è davvero finita.
Con shampoo e bagno schiuma uso il metodo del capovolgimento: quando stanno per finire li tengo a testa in giù per qualche giorno fino a quando anche l'ultima goccia non esce.
Per le creme uso il metodo del taglio del tubetto in due o, se sono tubetti di metallo (credo sia metallo, comunque quelli dei farmaci, per intenderci), il metodo dell'arrotolamento: arrotolo il tubetto verso l'alto ripiegando la parte rigida.
Una volta erano dello stesso materiale anche i tubetti del dentifricio e a casa di una mia compagna di scuola avevo visto in bagno un attrezzo tipo apriscatole che consentiva di arrotolare il tubetto man mano che finiva. L'ho invidiata da morire!
Stesso principio vale per il cibo. Si apre una scatola di biscotti solo dopo che sono finiti gli altri e si mangiano gli avanzi dopo le cene con amici.
Fin qui tutto tranquillo, a parte qualche ira suscitata da chi avrebbe voglia di un pan di stelle ma deve accontentarsi di una macina o da chi è costretto a mangiare la stessa pietanza per due (a volte tre) giorni di seguito.

Come si comporta il terminator davanti ai vestiti? Eliminare un pullover bucato o strappato è facile. Altrettanto facile è eliminare il pantalone bianco che a causa di un calzino blu finito accidentalmente in lavatrice è diventato celestino (peraltro in modo non uniforme) o il maglione di cachemire (mi è appena successo) che a causa di una centrifuga di troppo si è ristretto di due taglie.
Ma il resto come eliminarlo se non è propriamente da eliminare?
Ci sono vari metodi:
1. È passato di moda e non rischia di diventare vintage causa eccessiva bruttezza (chissà a cosa pensavo quando l'ho comprato);
2. Non ci entro più. Niente da fare, è inutile pensare: ma se dimagrisco? Se un capo è diventato troppo stretto si può eliminare.
3. La gonna è diventata corta. Andava bene a 20anni, in certe occasioni anche a trenta ma a quaranta decisamente no!


Tutto quello che non rientra in queste categorie lo si elimina solo perché ci ha stufato, non ci piace più e non lo mettiamo mai, non abbiamo più spazio. E poi come giustificare l'acquisto di un capo nuovo se non si è fatto un po' di spazio? E allora mi chiedo: ma non sarà che ogni tanto elimino per potere ricomprare?

Sono un terminator un po'  incoerente caro Beppe, tranne che per il dentifricio!

venerdì 15 giugno 2012

Ascoltando l'iPod...con la ricerca casuale

Devo premettere che, pur essendo stonata come una campana, amo cantare. Il mio iPod è quindi pieno di musica Italiana: Vasco (Un senso è la mia canzone preferita), Alex Britti, Jovanotti, Fossati, Bennato ma anche Edoardo De Crescenzo (trovo che Ancora sia una delle canzoni italiane più belle), Baglioni, Grignani, Bennato e il mio amato Renato Zero. E poi Laura Pausini, Giusy Ferreri e Fiorella Mannoia. Ci sono poi dei grandi classici tra cui Teorema di Marco Ferradini e Luna di Gianni Togni.
Non so come ci è finita anche un'altra canzone di Ferradini: Schiavo senza catene.
L'altro giorno ho provato a soffermarmi sulle parole e ho capito che non vuol dire nulla.
La scena è la seguente: Lui abbandonato (peraltro non per sempre) da Lei che in vacanza; lo si deduce dai seguenti fatti: (i) è agosto e (ii) lui le dice "d'accordo vai pure".
Uno normale che farebbe? Ne approfitterebbe per fare tutte le cose normalmente 'non ammesse', tipo: mangiare davanti alla tele, fumare in camera da letto, vedere due o tre partite del campionato di calcio olandese (e pure commentarle con amici), ecc.
Lui no!
La canzone è questa:
"Un altro giorno da inventare con te che non ti fai vedere, un altro giorno da passare cercando di non soffrire". Se lei è in vacanza perché dovrebbe farsi vedere? Boh
"Aprire gli occhi sulla città ma si! dormiamo tanto non chiamerà?" Chiamarla tu? No eh!
"Schiavo senza catene del tuo amore. Dal letto faccio testa o croce per la doccia o per il caffè, ma c'è in cucina la tua voce e in bagno il profumo di te. Io torno a letto e mi consolo col mio corpo che si accende da solo". Ne vogliamo parlare? Ma no lasciamo che il corpo si accenda da solo.
"Schiavo senza catene del tuo amore. E la città è vuota d'agosto non resta nemmeno un amico, per ammazzare le ore parlando, parlando di te". Povero amico, anche se ci fosse se la darebbe a gambe levate.
"... e giro nudo, mi mangio una pesca e mi sento finito, per aver detto: D'accordo vai pure così vedi se? resisti più di un giorno senza me". Un'altra volta pensaci magari lei non aveva voglia di stare con uno smidollato che gira nudo mangiando pesche per casa!
"Mi metto una maglietta tua convinto chissà perché, che mi farà passar la bua" SI. DICE PROPRIO COSI', LA BUA. E ci chiediamo ancora perché lei non torna?
"cotone, carezza di te. Il sole scende sulla città no, no, non esco forse mi chiamerà? Schiavo senza catene del tuo amore. E la città è vuota d'agosto non resta nemmeno un amico, per ammazzare la notte parlando, parlando di te; e giro nudo, mi mangio le mani" forse era meglio la pesca!
"e mi maledico? Basta, mi arrendo dai torna! su vieni a vedere com'è? com'è ridotto un uomo senza te? com'è ridotto un uomo senza te? senza te".
Mi sono quindi chiesta. Ma lei è tornata a vedere com'era ridotto? E soprattutto, dopo averlo visto, lo ha lasciato in via definitiva?

mercoledì 13 giugno 2012

Geppi la pensa come me...


Su IO Donna di qualche settimana fa, Geppi Cucciari ha dichiarato “Barbie era un'arricchita”. È quello che ho sempre pensato. Anzi in realtà io ho sempre pensato che la Barbie sia profondamente diseducativa.
E non per lo stesso motivo che nel 2011 ha fatto ribellare i genitori americani (la Mattel aveva messo in vendita Tokidoki, una Barbie punkeggiante, piena di tatuaggi e piercing).
Secondo me è diseducativa perché è un modello falso e consumistico. Ma come è possibile che una donna (che peraltro trasmette un'immagine fisicamente irreale!) abbia tutte quelle cose pur non avendo né arte né parte? Ma cosa dovrebbe trasmettere alle nostre figlie? Che nella vita bisogna essere bionde, magrissime, con un bel guardaroba e "strapiene" di beni di lusso. Che io ricordi aveva: un catamarano, la roulotte e il camper (io neanche sapevo che fossero due cose diverse!), la jeep, la macchina (ovviamente un modello sportivo strafigo!), la casa (3 piani con ascensore interno!), la villa con piscina, ecc. ecc.
Io non ho mai amato la Barbie perché era finta. L'unico valore che potrei riconoscerle è la fedeltà (a mia memoria è sempre stata fidanzata con Ken...e Big Jim? Non ho mai capito che ruolo avesse).   
Una volta un'amica mi fece notare che sono le dimensioni ad attirare le bimbe. Sono piccole ed è facile tenerle in mano. Non mi piace lo stesso e ricordo con molta più soddisfazione il ciccio bello o altri bambolotti che potevi coccolare come se fossero dei bambini. 
Niente ha eguagliato il successo planetarario della Barbie, che credo duri ancora nonostante la crisi. Le hanno dedicato mostre, musei e sfilate di moda.
Chissà forse perché è un sogno di bellezza e benessere? È triste ma temo sia cosi.
Tempo fa ho fatto una promessa a mia nipote: se in pagella prenderai più 10 che 9 la zia ti farà un bel regalo. È andata bene (per lei) e un pomeriggio di sabato siamo uscite insieme. Quando le ho detto: allora cosa vuoi? lei mi ha detto: scegli tu zia. Ma no tesoro è il tuo regalo, cosa vuoi? E lei: qualcosa di Barbie!
Noooooo.


lunedì 11 giugno 2012

Istanbul o Barcelona?

Kati e Petra, due donne che amo molto.
Sono le protagoniste di due serie di gialli editi da sellerio  (http://www.sellerio.it/).

Kati è più giovane (come serie!) ed è la protagonista di una serie ideata dalla scrittice turca Esmahan Aykol. Siamo alla terza avventura. In ordine: Hotel Bosforo - Appartamento a Istanbul e Divorzio alla turca. Kati non è un'investigatrice ma una libraia. La sua libreria (ovviamente sita a Istanbul) ha una particolarità. E' specializzata in libri gialli. E Kati coltiva la sua passione anche al di fuori dal lavoro, interessandosi a casi (e risolvendoli!) che in qualche modo le capitano tra le mani. O perché ha visto qualcosa, o perché conosce il presunto colpevole o, peggio, il morto.
È bello perché leggendo si gira con Kati per le vie di Istanbul e si capisce quanto l'autrice la conosca e la ami. Nella storia Katy è tedesca e dopo avere vissuto con la famiglia a Istanbul da giovane, per esigenze di lavoro del padre, ci ritorna per scelta da adulta e diventa una vera istabuliota.

Petra è invece ormai nota al pubblico degli amanti del genere. È un'ispettrice di polizia e si accompagna al suo vice Fermin Garzon con il quale litiga, parla di se e di lui e tra un interrogatorio e l'altro beve birra (tanta birra) in giro per Barcelona. È una dura molto simpatica. Ormai siamo arrivati al nono romanzo della serie ideata da Alicia Giménez Bartlett. L'ultimo romanzo, Il silenzio dei chiostri è del 2009 (in effetti è po' di tempo che Petra non viene coinvolta in un'indagine anche perché la sua creatrice ha scritto anche dell'altro).

Mi piacciono perché sono due donne libere, non libere da uomini -  ne hanno e ne hanno avuti entrambe - ma libere nel senso di padrone della loro vita. Carine e ironiche. Più attente alla sostanza che alla forma. Insomma delle quarantenni consapevoli e serene pronte a vivere il periodo più bello della vita di una donna senza riserve o paranoie.

Buona lettura! 

venerdì 8 giugno 2012

Oggi il post lo fa Giada....

Tema di Giada quando frequentava la terza o quarta elementare...l'ho ritrovato per caso qualche tempo fà e lo riporto così come era stato scritto (con il mio pc portatile).
Continuo a chiedermi: ma a quali feste di Natale è andata?

PARLO DI ME
Io non parlo molto di me, ma se me lo chiedete posso fare un’eccezione, cominciamo così…
Per incominciare io non sono né magra né grassa, sono abbastanza giusta per il mio corpicino.
Per gli occhi si scatena la 3^ guerra mondiale alcuni dicono che sono verdi altri invece dicono che sono marroni chiari, ma avete ragione tutti perché i miei occhi sono marroni chiari all’ombra, mentre al sole sono verdi (ma sinceramente sono poco più verdi).
Sapete, io sono piuttosto tranquilla, però se uno mi fa arrabbiare divento indomabile come una tigre del bengala e poi me ne sto lì taciturna in un angolino a pensare cosa è successo e se si può rimediare.
I miei capelli li amo alla follia, ma se non li lavo dopo due giorni si ribellano e questo è il segno che li devo lavare al più presto. Quando ho finito di lavarli sono di seta anche perché i miei capelli sono molto fini.
Un’altra cosa che ho di abbastanza bello è il naso, i miei genitori dicono che è alla francese, qui non si scatenano guerre perché ho fatto questa domanda solo a loro.
Sono molto atletica, infatti ho vinto la medaglia d’oro ai 50 m. Quando ho vinto l’arena avevo un portamento eretto per la fierezza, che tengo ancora adesso.
Credo che questo particolare ce l’abbiate anche voi: la vostra voce cambia a seconda del vostro umore? Quindi non ve ne parlo neanche.
La fronte ce l’abbiamo quasi tutti uguale perché più o meno è sempre abbastanza alta, la mia è una via di mezzo, ma non me ne lamento.
Voi avete mai visto i film vecchi? Io sì, non sono bellissimi, però ho notato un particolare: tutti avevano le sopracciglia enormi perché prima andavano di moda, solo alcuni oggi le portano così. Io spero di no!
Sulle labbra non ho niente da dire perché non sono molto particolari sono rosse e carnose quasi come tutti.
La mia pelle dipende dal mare perché di solito è liscia, ma quando sono al mare e cambio pelle diventa ruvida.
Caratterialmente sono molto allegra e umoristica, ma se i genitori mi sgridano mi sento scoppiare e a volte li “detesto”, mentre a volte me la cavo.   
Per me il Natale è entusiasmante soprattutto quando è la vigilia e si mangia fino a scoppiare.
In 1^ elementare provavo sentimenti di distacco e non conoscevo tutti voi, mentre adesso vi conosco di più e non ho molte preferenze. Vi ho parlato di me adesso mi parlate di voi?!      

giovedì 7 giugno 2012

Un'ora da raccontare

Qualche anno fa (ma credo ci sia tutti gli anni), il ViviMilano del Corriere ha indetto un concorso letterario dal tema "un'ora da raccontare in sessantarighe".

Questo è il mio.

CHISSÀ COSA STA PENSANDO…
L’ora che vorrei raccontare è quella della mattina. Di tutte le mattine. Per recarmi al lavoro prendo la metropolitana: tutti i giorni lo stesso percorso... Molti in metropolitana leggono, molti collezionano i giornali omaggio e non te ne lasciano una copia neanche a morire; se si accorgono che stai sbirciando un titolo sugli ultimi eventi nella casa del Grande Fratello, ti guardano male e pensano “ma se è gratis perché guarda il mio”. Altri chiacchierano animatamente (dove trovano la forza a quell’ora del mattino?), altre (si, si sono solo le donne) pontificano. Argomento preferito: quanto sono fantastici i loro figli, quanto sono brave (loro) nella gestione della casa…quelle che ascoltano ça va sans dire non riescono mai proferire verbo e le guardano ammirate. Poi ci sono io; di buon umore fin dalle prime luci dall’alba, mi accingo ad affrontare una nuova giornata ….. In metropolitana mi guardo intorno, cerco di immaginare a cosa stanno pensando gli altri, quelli che come me non sono impegnati in altre attività, quelli che PENSANO! Mi chiedo dove sono diretti, se sono contenti del loro lavoro, quali sono i loro sogni e se, almeno in parte, si sono realizzati. Mi invento le storie della loro vita, del loro imminente futuro; se vedo qualcuno con un bagaglio cerco di immaginarmi dove sta andando e se qualcuno che lo sta aspettando …. Adesso, qualche faccia comincia ad essermi familiare. Per esempio c’è una ragazza, assolutamente anonima: nè brutta né bella, sempre vestita in modo curato ma ordinario; anche la sua età è assolutamente indefinita. La cosa che mi ha molto colpito fin dalla prima volta che l’ho vista sono i capelli. Sempre in ordine. Mai una volta che abbia un fermaglio o una coda di cavallo, sempre appena phonati, sempre con la stessa pettinatura. Sta sempre da sola e indisparte e anche lei PENSA. Ho cominciato ad osservarla, probabilmente dentro di me speravo che cambiasse qualcosa ai capelli! ma niente. Quello che invece ho iniziato a notare e che scende sempre ad una fermata diversa. Prendiamo la metropolitana insieme (lo so perché la vedo anche durate l’attesa) ma lei scende sempre prima di me, a volte dopo la prima fermata, a volte dopo due o più fermate. Perché? Le ho pensate tutte: “farà l’agente di commercio e scende in base agli appuntamenti”, “è un’infermiera e presta assistenza a domicilio”. Ho anche pensato a qualcosa di meno poetico …ma no, non di mattina presto e poi non con quel look! Una mattina mi sono soffermata a guardare due piccoli gitani, due bambini dolcissimi, lui suonava il violino e lei con bicchiere di carta della Coca-Cola raccoglieva le poche offerte; appena finito il giro, alla prima fermata utile di corsa nel vagone successivo. Lampo di genio, adesso ho capito! La ragazza “dai capelli in ordine” scende dal vagone solo per spostarsi in un altro vagone. Perché? di certo non per chiedere l’elemosina, ma comunque per raccogliere e collezionare. Cosa? La cosa più bella che ci sia: il sorriso. Il sorriso di chi racconta, il sorriso di chi pensa all’incontro che sta per fare, il sorriso di chi legge, il sorriso di chi sogna ad occhi aperti. Lei osserva tutti e raccoglie nella sua collezione ogni giorno un nuovo sorriso….poi si trasferisce su un altro vagone e ricomincia. Adesso che lo so ogni volta che la incontro le sorrido. Spero che magari un giorno anche il mio sorriso possa entrare a far parte della sua collezione.
di Lia Campione

ps da qualche tempo in metropolitana guardo il BlackBerry (prima non funzionava) e adesso scrivo anche le idee per il blog!

mercoledì 6 giugno 2012

Bastano sette capi. E adesso come faccio a giustificare il mio guardaroba?

Ines de la Fressange (alzi la mano chi non vorrebbe avere oltre 50anni ed essere bella come lei) ha scritto una guida di stile (La Parigina, ed. L'Ippocampo, 2011) secondo la quale per avere stile bastano sette capi basici:
1. Una giacca da uomo;
2. Un trench;
3. Un pullover blu marine;
4. Una canottiera;
5. Un tubino nero;
6. Dei jeans; e
7. Un blouson (lo so noi lo chiamiamo giubotto ma mi devo attenere ad Ines!) di pelle.

Il resto è una questione di abbinamenti e di decontestualizzazione (es. I jeans si portano con dei bei sandali e non con le scarpe da ginnastica, i diamanti si portano sempre non solo la sera, se l'abito è da sera la borsa può anche essere di paglia)!
Regola d'oro: se il sotto è ampio la maglietta/camicia deve essere attillata e viceversa. Si evitano effetto bignè ed effetto sirena o sardina (questo lo aggiunto io per rendere l'idea!)

Le scarpe e le borse hanno importanza fondamentale e non devono mancare:
Per le scarpe:
1. Le ballerine;
2. Le decolletées nere (una bella può durare tutta la vita); Ines, diciamo da quando non cresce più il piede?
3. I sandali effetto nudo;
4. I mocassini; e
5. Gli stivali da cavallerizza.
Per le borse
1. Il cabas mettitutto. Ci si possono mettere anche le cose da ufficio e pure una pochette da usare la sera se non si ripassa da casa. Ci ho provato e il risultato è stato che le chiavi di casa sono rimaste nell'altra borsa, in ufficio!
2. La pochette
3. La bisaccia
4. La borsetta da signora (rigida in contrapposizione alla bisaccia!); e
5. La borsa di paglia.

Leggendo mi sembrava tutto facile, di buon senso e in linea (più o meno) con il mio guardaroba fino a quando non ho letto: si può essere più orgogliose di possedere una borsetta scoperta in un mercatino che della 'it bag' del momento soprattutto se per possederla ci si deve iscrivere in una lista d'attesa (che volgarità!). Ines non dovrà mai sapere che l'ho fatto e ho pure litigato con il commesso.

Vado in questo negozio e provo una delle borse del momento. Decido che mi piace e che la vorrei di un colore blu chiaro modello piccolo. "Non c'è ma arriverà" - mi dice la commessa – "La metto in lista?"
Lascio tutti i miei dati ed esco dal negozio molto soddisfatta: non ho ancora speso nulla e avrò la borsa che voglio. Meglio di così!

Passano le settimane e mi ricordo che avrebbero dovuto chiamarmi ma non l'hanno fatto. Chiamo io e tale Domenico mi dice "ma signora il colore che ha chiesto lei era della primavera e non lo riassortiamo". Scusi e la lista? La lista era senza impegno!

Insomma io gli spiego che la parola senza impegno non era stata usata e che io mi sentivo impegnata (nonché proprietaria della borsa). Lui propone una serie di alternative e si impegna (questa volta dando il giusto significato alla parola!) a trovare la borsa. La conversazione si chiude con la seguente frase: "insomma io questa borsa la voglio!" e lui: "Signora, questo mi è chiaro!"

La borsa è arrivata, pare sia stata scovata da Domenico a Londra e (forse) sottratta ad una signora londinese meno volitiva di me.
Risultato: l'ho dovuta pagare e la uso pochissimo perché il cabas di cui sopra è infinitamente più comodo e spazioso.

martedì 5 giugno 2012

la forza e il sorriso dei bambini..




Il post di oggi avrebbe dovuto essere pensato a lungo...magari scritto e riscritto, cancellato, corretto, letto e riletto. Perché? Perché forse oggi e da oggi qualcuno ogni tanto leggerà, farà un sorriso, penserà ma che scema questa oppure: è vero, lo penso anch'io.
O più semplicemente (speriamo) leggerà e basta.

Venerdì sono stata al cinema a vedere Sister (un film franco – svizzero di Ursula Meier, 2012). È la storia di due ragazzi. Un bambino e la sorella maggiore apparentemente orfani. Lui per guadagnarsi da vivere (e da mangiare) ruba sci, accessori e panini ai turisti che popolano la ricca stazione sciistica e lei si divide tra lavoretti saltuari come cameriera e la ricerca disperata di un uomo che la porti via dalla casa popolare (fatiscente e trascurata) in cui vive con il fratello. Il fratello la adora, la protegge e di fatto la mantiene.
Il fratello è suo figlio. Un figlio che pur di non farsi abbandonare ruba (per non essere un peso), un figlio che sa di non essere stato voluto eppure ama e perdona. Non è la prima volta che nei film si vedono bambini più grandi degli adulti. Impegnati a tirare avanti la famiglia pur di non farsi portare via dagli assistenti sociali (Hereafter di Clint Eastwood ne offre un tenero esempio) o che proteggono e amano i genitori comunque (penso a When a Man Loves a Woman in cui una Meg Ryan alcolizzata è protetta anche e soprattutto dalle sue bambine, ad I Am Sam in cui la figlia del 'ritardato' e bravissimo Sean Penn si inserisce a perfezione nel giro di strampalati amici del padre e cerca disperatamente di restare con lui, e ancora al film in cui ho pianto di più nella mia vita "Il Campione" di Franco Zeffirelli del 1979). Ce ne sono senz'altro molti altri meno romanzati e più veri. Uno su tutti: "Il ragazzo con la bicicletta" dei fratelli Dardenne. Un'altra poetica storia di un ragazzino che chiede solo la sua bicicletta (che il padre voleva addirittura vendere) e un pò di amore.

Quando sono stata in Marocco sono stata a visitare un villaggio nel deserto, piccolo e  poverissimo di nome HassilabiadLe case sono costruite con il fango e non c'è nulla di nulla. Sono passata davanti ad una scuola. Era l'ora di chiusura, la maestra sistemava i bimbi in fila e dava loro un bacio. All'uscita non c'erano cinquanta mamme frettolose ma nessuno. I bambini si sono dispersi ordinatamente ciascuno verso la strada di casa.
I nostri figli imparano ad attraversare la strada da soli a 10 anni. Hanno tutto (troppo) ma non sono in grado di badare a loro stessi. O forse lo sono ma noi non lo sappiamo perché per eccesso di protezione non li mettiamo mai alla prova.
I nostri figli sono spesso imbronciati e piagnucoloni e non guardano i giochi che hanno con l'attenzione con cui ci hanno fatto credere di desiderarli. I bambini in Marocco non avevano nulla ma sorridevano ed erano belli e bambini come i nostri!

lunedì 4 giugno 2012

da dove tornano le donne

Lo confesso....questo post (non il titolo) l'ho - in parte - sottratto a Gabriele Romagnoli.


Da dove torni
Si siede a tavola e i suoi occhi sono laghi di tristezza. Non l'ho mai vista prima. Il marito è gentile: ha scostato la sedia per farla accomodare. Lei ha ringraziato a bassa voce, gli occhi già sul piatto. Si è specchiata nella porcellana splendente, ha ripescato un sorriso dall'abisso. Dev'essere cominciata un anno fa. Sulle prime ha provato a resistere, a scacciare la tentazione. Si è infilata in un viaggio di lavoro del marito all'ultimo momento. A destinazione, gli ha dimostrato una passione che sembrava memoria. Stava solo cercando di dimenticare un'altra possibilità, di chiudere la porta. Un attimo prima di farlo l'ha spalancata. Ha amato un altro uomo perché le ricordava un'altra vita, non la faceva sentire madre o moglie, ma donna. Alludeva a Parigi, o New York, non come vacanza ma come residenza. E' stato dolorosamente perfetto finché è durato. Quando finisce un matrimonio o una relazione ufficiale donne e uomini sono disperati, se lo possono permettere. Quando finisce una cosa così sono di una tristezza senza uguali perché se la debbono tenere dentro, mentre si affannano a evocare il sollievo della sopravvivenza condivisa. E' un lutto senza funerale, di lacrime nei bagni di un ristorante, non ci sono feticci del passato sepolto, nessuno verrà a dare conforto. Lei prova a darselo da sola, scuote i capelli, mangia, chiacchiera. Sono l'unico a tavola a capire da dove è appena tornata.


Il racconto è bellissimo e vero.


Mi piace moltissimo il suo modo di "leggere" l'animo femminile. Ho letto e riletto il "vizio dell'amore"...storie di donne - alcune vere -  e di amore (libro + dvd, Mondadori, 2007...temo sia fuori catalogo ma si può trovare su ibs.it) .


Però mi chiedo perchè se una donna soffre è automatico pensare che stia soffrendo per amore? Perchè "Donne che amano troppo" è un best seller mentre nessuno ha mai scritto uomini che amano troppo (ma semmai: uomini che odiano le donne)?


...quello che penso è che spesso le donne si riducono a dipendere (per non dire ad elemosinare) dall'affetto o dall'amore di un uomo. E se invece soffrissero anche per altro?
Non penso solo ad una malattia (anche se quando capita a noi donne siamo molto più brave a gestirla!) ma al lavoro, ad un desiderio che non riusciamo a realizzare, ad un obiettivo che vogliamo a tutti i costi conseguire. Perchè l'umore della donna ed il modo in cui fa le cose deve dipendere da un uomo.... e perchè noi donne lasciamo credere al mondo (ed a Gabriele Romagnoli) che sia sempre così?

venerdì 1 giugno 2012

Kinder bueno....





Tutte le mattine fino a qualche settimana fa, alla radio - tra il telegiornale e l'oroscopo -  ascoltavo la pubblicità del Kinder bueno.
La scena si svolgeva in una latteria: la ragazza entra per prima e chiede l'ultimo Kinder bueno ma Lucia (proprietaria del locale e prototipo dell'italiano medio) accortasi che in latteria è appena antrato anche Andrew Howe (famoso e quindi da privilegiare per definizione) fa orecchie da mercante e nonostante la ragazza dica espressamente "vorrei l'ultimo kinder bueno" la indirizza  - in tacito accorto con Andrew - su croccantissime sfogliatine e buonissimi bignè alla crema. E' vero nella vita ci sono problemi più importanti, ma ascoltare Lucia mi fa venire in mente tutti i favoritismi che in Italia si fanno a "favore" appunto dei famosi e famosetti e a discapito della gente normale. Penso alle code in banca, alla posta o al ristorante, alle liste d'attesa e al semplice "doppio" occhio di riguardo che i suddetti ricevono dappertutto (al corso di fiesta latina il maestro ballava sempre con la velina per farci vedere la coreografia...ma chi ti dice che non l'avrei saputa fare anch'io?...vabbè questo forse è esagerato).
Mi chiedo. Ma non dovrebbe esserci, se sto dall'altra parte (ovvero gestico un locale o un pubblico esercizio), un occhio di riguardo per tutti gli avventori siano o non siano famosi? Il bello è che il più delle volte al proprietario o al gestore o all'impiegato di turno non ne viene niente in cambio solo si bea di conoscere il famosetto (che ca va sans dire se lo incontra fuori dal contesto nemmeno lo saluta).


Purtroppo non ho trovato una parodia del kinder bueno in cui Lucia fa una brutta fine, ma anche la ragazza che continua  a mangiare kinder bueno senza ingrassare non è poi tanto simpatica...