mercoledì 6 giugno 2012

Bastano sette capi. E adesso come faccio a giustificare il mio guardaroba?

Ines de la Fressange (alzi la mano chi non vorrebbe avere oltre 50anni ed essere bella come lei) ha scritto una guida di stile (La Parigina, ed. L'Ippocampo, 2011) secondo la quale per avere stile bastano sette capi basici:
1. Una giacca da uomo;
2. Un trench;
3. Un pullover blu marine;
4. Una canottiera;
5. Un tubino nero;
6. Dei jeans; e
7. Un blouson (lo so noi lo chiamiamo giubotto ma mi devo attenere ad Ines!) di pelle.

Il resto è una questione di abbinamenti e di decontestualizzazione (es. I jeans si portano con dei bei sandali e non con le scarpe da ginnastica, i diamanti si portano sempre non solo la sera, se l'abito è da sera la borsa può anche essere di paglia)!
Regola d'oro: se il sotto è ampio la maglietta/camicia deve essere attillata e viceversa. Si evitano effetto bignè ed effetto sirena o sardina (questo lo aggiunto io per rendere l'idea!)

Le scarpe e le borse hanno importanza fondamentale e non devono mancare:
Per le scarpe:
1. Le ballerine;
2. Le decolletées nere (una bella può durare tutta la vita); Ines, diciamo da quando non cresce più il piede?
3. I sandali effetto nudo;
4. I mocassini; e
5. Gli stivali da cavallerizza.
Per le borse
1. Il cabas mettitutto. Ci si possono mettere anche le cose da ufficio e pure una pochette da usare la sera se non si ripassa da casa. Ci ho provato e il risultato è stato che le chiavi di casa sono rimaste nell'altra borsa, in ufficio!
2. La pochette
3. La bisaccia
4. La borsetta da signora (rigida in contrapposizione alla bisaccia!); e
5. La borsa di paglia.

Leggendo mi sembrava tutto facile, di buon senso e in linea (più o meno) con il mio guardaroba fino a quando non ho letto: si può essere più orgogliose di possedere una borsetta scoperta in un mercatino che della 'it bag' del momento soprattutto se per possederla ci si deve iscrivere in una lista d'attesa (che volgarità!). Ines non dovrà mai sapere che l'ho fatto e ho pure litigato con il commesso.

Vado in questo negozio e provo una delle borse del momento. Decido che mi piace e che la vorrei di un colore blu chiaro modello piccolo. "Non c'è ma arriverà" - mi dice la commessa – "La metto in lista?"
Lascio tutti i miei dati ed esco dal negozio molto soddisfatta: non ho ancora speso nulla e avrò la borsa che voglio. Meglio di così!

Passano le settimane e mi ricordo che avrebbero dovuto chiamarmi ma non l'hanno fatto. Chiamo io e tale Domenico mi dice "ma signora il colore che ha chiesto lei era della primavera e non lo riassortiamo". Scusi e la lista? La lista era senza impegno!

Insomma io gli spiego che la parola senza impegno non era stata usata e che io mi sentivo impegnata (nonché proprietaria della borsa). Lui propone una serie di alternative e si impegna (questa volta dando il giusto significato alla parola!) a trovare la borsa. La conversazione si chiude con la seguente frase: "insomma io questa borsa la voglio!" e lui: "Signora, questo mi è chiaro!"

La borsa è arrivata, pare sia stata scovata da Domenico a Londra e (forse) sottratta ad una signora londinese meno volitiva di me.
Risultato: l'ho dovuta pagare e la uso pochissimo perché il cabas di cui sopra è infinitamente più comodo e spazioso.

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