lunedì 29 aprile 2013

Vai a Mosca? Come mai?

Mi piace molto riuscire a fare un piccolo viaggio in occasione del ponte del 25 aprile/1 maggio perché le città hanno sempre un clima tiepido e soleggiato da inizio primavera. Certo dipende da dove si va ma se si resta in Europa in linea di massima è così.
Quest'anno abbiamo scelto Mosca. La mia amica Sabrina ed io abbiamo deciso durante una calda serata di fine agosto, trascorsa a chiacchierare nel mio giardino. Detto fatto! Il giorno dopo avevamo preso i biglietti per noi due, per George e per un quarto amico che ha saputo di essere membro dell'equipaggio soltanto giorni dopo al rientro da una vacanza negli Stati Uniti. Sapevamo che non era mai stato a Mosca e che sarebbe venuto volentieri e così è stato!
Il gruppo era già collaudato perché lo scorso anno eravamo già stati insieme in vacanza. Stesso weekend, stessa formazione e una promessa finale: il prossimo anno lo rifacciamo!
La scelta di Mosca è stata casuale ma neanche tanto. Siamo quattro adulti che amano viaggiare e quindi dobbiamo trovare un posto in cui nessuno di noi sia già stato (ricordo che sempre per esclusione fu fatto un viaggio in famiglia tanti anni fa. I miei fratelli ed io eravamo già grandi ma decidemmo di fare un bel viaggio in famiglia per Pasqua solo noi 5. La scelta di andare in Israele fu dettata dal fatto che dovevamo trovare un posto in cui nessuno di noi era già stato. Uno dei viaggi più belli della mia vita!).

La Russia mi incuriosiva. Si vedono ormai, in giro nelle grandi città, solo Russi straricchi e irrispettosi che hanno però il merito di fare girare l'economia, si sente dire che la fine della dittatura ha creato un enorme dislivello sociale. E poi volevo vedere la Piazza Rossa e il Cremlino.
Tutti quelli a cui l'ho detto, nessuno escluso, mi hanno detto: ma perché vai a Mosca? San Pietroburgo è molto più bella.
Immagino sia vero ma io, anzi noi, volevamo andare in Russia. Viaggiare non è solo vedere una bella città, bei musei e monumenti ma anche - e soprattutto - conoscere culture diverse, capire come cambia il mondo (in questo senso qualche anno fa, ho trovato molto interessante un viaggio fatto in Albania).
Viaggiare non vuol dire collezionare cartoline ma respirare l'aria. È a Mosca si respira davvero un'altra aria. Un'aria che non è ancora europea. È una città maestosa (ho visto cupole d'oro meravigliose, la collezione di uova Fabergé, la casa di Tolstoj e molto altro) ma dimessa.
Dimessi sono i moscoviti; dimesse, sporche e un po' malandate sono le strade. Nessuno - e dico nessuno - parla o capisce l'inglese. I russi ricchi, quelli che annaffiano le loro serate con vodka, champagne e caviale, non si vedono in giro per Mosca (probabilmente perché frequentano locali o club esclusivi), così come non si vedono bei negozi. Ci sono i negozi di lusso ma sono confinati all'interno di grandi e anonimi magazzini.
Insomma l'impressione è stata quella di una città fatiscente, per certi versi, ma con il fascino della storia degli zar e dei grandi della letteratura mondiale, cui è seguita una depressione che ha lasciato un segno profondo.
Con ciò non voglio dire che volevo trovarmi davanti ad un plotone di russi ricconi e senza scrupoli. Anzi! Dico che non ho trovato quello sviluppo sociale e dei costumi che avrei immaginato e che questo stride ancora di più se si pensa che la Russia è una vera potenza economica.

DIVARIO: questa è la parola che mi viene in mente. Divario tra un cambiamento che va troppo veloce e che ha lasciato indietro la stragrande maggioranza della popolazione.

Ecco perché non sono andata a San Pietroburgo. Perché al rientro avrei solo potuto dire: bellissima!

domenica 21 aprile 2013

Il mio lato destro....

ho sempre pensato...e ne ho avuto tristemente conferma negli anni scorsi che il mio lato destro sia più debole del sinistro.
Da bambina (in realtà da neonata) ho subito un intervento al femore che per anni, sino al completamento dello sviluppo, mi ha portato a dovere fare rinunce. Avrei voluto fare danza classica ma non è stato possibile (e forse è per questo che Giada ha fatto danza classica sin da bambina), ho provato a sciare ma una volta dopo una banale caduta sono stata a letto quasi un mese (e così adesso so sciare ma ho troppa paura e ci rinuncio volentieri), avrei voluto correre...insomma è stato un piccolissimo fastidio che mi ha tenuto compagnia fino a quando a diciotto anni compiuti non ho avuto il seguente referto medico proprio qui a Milano al Pini "Nessuna cura".
Però non ho un brutto ricordo di quegli anni. Andavamo a Roma circa una volta l'anno (il mio medico era un ortopedico del Gemelli, Prof. Fineschi che anni dopo è giunto all'onore delle cronache per avere operato il papa) e prima di tornare a Messina c'era sempre un passaggio da "La Cicogna", un negozio per bambini di Via frattina (eh si anche da bambina ero una fashion victim!).
Poi sono cresciuta e ho convissuto con una cicatrice che con il passare degli anni mi sono dimenticata di avere e con qualche piccolo difetto di andatura. In pratica avendo sempre dovuto sforzare poco la gamba destra spesso la trascinavo. E' inutile dire che mi sono sentita dire ogni tanto. Lia ma zoppichi? Una mia collega di Roma poi me lo chiedeva ogni volta che mi vedeva.
Ora, a parte il fatto che non ho mai zoppicato e che le mie gambe sono perfettamente simmetriche, mi sono sempre chiesta - e a questo dedicherò un post - perchè chi si accorge di un difetto altrui invece -  come sarebbe normale e sacrosanto  - di farsi i fatti suoi, parte con la domanda: cosa hai fatto? Per non parlare della domanda: Sei incinta? sistematicamente rivolta a chi non può avere figli o a chi ha partorito da 6 mesi!

Poi da grande ho avuto i calcoli renali sempre al rene destro ca va sans dire.

E infine una brutta malattia di cui ho scritto e che essendo brillantemente passata non è il caso di ricordare di nuovo.

Perchè tutto questo? Forse perchè stasera andrò a vedere un film amatoriale dal titolo "Noi non siamo come James Bond" che racconta di due amici che hanno superato due brutte malattie.

Forse.

O forse perchè in questo periodo in cui si vive alla ricerca della perfezione, riflettevo su una cosa.
Il nostro corpo è bello così com'è e con le piccole imperfezioni ci viviamo bene. Anzi ci rendono unici e particolari. Ho letto poi da qualche parte che le cicatrici le accettiamo perchè ci ricordano un trauma superato: Verissimo!

Io per esempio al cinema o a teatro mi siedo sempre davanti perchè sono convinta di non vedere. In effetti sono miope (a destra ovviamente più che a sinistra:-) ma ho sempre avuto occhiali o lenti a contatto. Solo che lo stare davanti mi fa sentire più sicura.
Oppure c'è chi non prende l'ascensore perchè crede di soffrire di claustrofobia (o ne soffre veramente ma non lo sa più perchè appunto non prende l'ascensore da secoli). Insomma tutto quanto è una nostra piccola caratteristica, diversità o, persino, difetto ci rende unici.

E io ormai mi sono affezionata al mio imperfettissimo lato destro!

martedì 16 aprile 2013

Altezza è mezza bellezza?

Mia nonna diceva: cu bella voli pariri, peni e duluri avi a patiri. In altri e più chiari termini, chi vuole essere bella deve soffrire!
Ed infatti le donne soffrono quando fanno la ceretta o altri infernali trattamenti estetici (solo un bel massaggio è veramente rilassante ma non se fatto durante la pausa pranzo o in fretta tra una riunione e una call!), soffrono quando si privano di dolci e alcolici (come quella scema della sottoscritta), soffrivano quando (ai tempi di Jane Austen) indossavano corpetti talmente stretti da non riuscire a respirare.
Soffrono se stanno tutto il giorno sui tacchi alti!!

Su io donna di qualche settimana fa ho letto un'intervista doppia a Ines de la Fressange (mia icona di stile.....ormai si è capito!) e Catherine Deneuve. Entrambe indossavano delle elegantissime scarpe con il tacco basso di Roger Vivier che è mi è subito venuta voglia di possedere.
Trovo che la scarpa bassa, soprattutto di giorno, sia molto più elegante e raffinata di un tacco alto. Soprattutto se è troppo alto. Certo la classica décolleté nera con un tacco 6 (o anche 8 se lo sai portare) è altrettanto elegante ma i trampoli NO.

Innanzitutto sono scomodi. Non è possibile sostenere che stare tutto il giorno su un tacco 12 sia comodo.
Inoltre non sono neanche così eleganti. Le scarpe altissime e con il plateau che si usano adesso rendono il piede tozzo. Per non parlare delle scarpe che costringono il piede e la caviglia fino a farla sembrare un salsicciotto.
Ma quel che è peggio è l'andatura. Le scarpe alte le sanno portare solo le modelle (che peraltro sono già alte quindi con il tacco alto non stonano perché sono proporzionate). Tutte le altre dovrebbero prima fare le prove e solo dopo sfoggiare scarpe improponibili, che il più delle volte indossano solo per giustificare a loro stesse la spesa di un intero stipendio.
L'altra mattina in pieno centro mi sono fermata ad osservare una signora che con un tacco alto (più delle sue gambe) ha impiegato 15 minuti buoni per attraversare la strada (a Milano c'è il pavet....fate attenzione!).

Anni fa dividevo la stanza con un collega uomo. Una volta tornata da una pausa di meritato shopping gli mostrai un paio di scarpe nere di vernice comodissime e molto carine (le possiedo ancora!). Lui le guardò schifato e mi disse: non potrei mai stare con una donna che indossa il tacchetto. È infatti siamo rimasti solo buoni amici.

Fate un po' voi;-)



domenica 7 aprile 2013

Niente baci......troppo intimo!

La mia amica Paola Jacobbi (giornalista di cinema e spettacolo) ha detto più volte che i film andrebbero visti in lingua originale perché una volta doppiati perdono moltissimo e sembrano tutti uguali.
Non ho visto tanti film in lingua originale per potere dire se condivido pienamente, devo dire però che le frasi celebri dei film le conosco in italiano e che in italiano, se sono diventate celebri, probabilmente rendono bene (penso a 'io ho visto cose che voi umani....', oppure 'Houston abbiamo un problema....' e ancora ' RIIMEETTI a posto la candela!). Non credo, infatti, che Paola si riferisse alla traduzione quanto e soprattutto al doppiaggio ed al fatto, assolutamente vero, che ogni attore è voce e immagine ma soprattutto recitazione (in Italia invece conosciamo solo la recitazione dei doppiatori).

Oggi pensavo che il film di cui ricordo più frasi è Pretty Woman.

Ancora oggi a distanza di 23 anni (il film è del 1990) ogni volta che lo trasmettono in TV fa ottimi ascolti ed in effetti io stessa non mi stancherei mai di guardarlo.
Non è vero che le donne si identificano con Vivien/Julia (anche perché la maggior parte delle donne non fa quel mestiere!).
È solo una favola moderna e prevedibile che però è stata pensata bene: dal sorriso contagioso di lei, ai dialoghi intensi e divertenti, alla storia dell'uomo senza scrupoli circondato da tirapiedi, all'albergo di Beverly Hills e al suo mitico direttore. E poi diciamo la verità: chi si tirerebbe indietro se avesse la carta di credito di Mr. Louis e fosse libera di usarla senza limiti in Rodeo Drive?

Non è il mio film preferito (tra le commedie romantiche preferisco di gran lunga Harry ti presento Sally, Sliding doors e Indovina chi viene a cena) ma è quello che potrei recitare senza copione.

Tra le frasi celebri ricordo, oltre a quella del titolo del post (è verissima: se c'è bacio non è solo sesso ma anche sentimento):
- quella in cui Vivien seduta sulla scrivania si sente dire: 'sei sui miei fax' ....'ops su questi non c'ero mai stata';
- 'avrei accettato 2000'......'sarei arrivato a 4000';
- Bello sbaglio!!!' detto alle commesse che poco prima l'avevano cacciata;
- all'Opera: 'mi si sono aggrovigliate le budella';
- 'Quella gran culo di Cenerentola'.

e poi come finisce? Finisce che lei salva lui!

mercoledì 3 aprile 2013

Second watch!

Ho appreso solo ieri che il marchio Swatch sta per 'second watch' e quindi per indicare un orologio alternativo a quello principale e più importante, solitamente in acciaio o con il cinturino di pelle.
Prima dell'avvento degli Swatch (e poi di tutti i numerosi orologi di plastica, tra cui l'altrettanto famoso Hip Hop) di orologio ne avevamo UNO. Solitamente era un regalo per la comunione al quale poi seguiva il regalo di laurea. Quest'ultimo era come la prima casa di proprietà: poteva durare anche tutta la vita!
Quando arrivarono gli Swatch mio papà decise che li doveva collezionare. All'inizio erano praticamente introvabili, in pochi avevano la concessione e chi non l'aveva li rivendeva a prezzo più alto (delle 50 mila lire che costavano all'epoca).
Mio papà, per giustificare la collezione, sosteneva che lui non potendosi permettere una Ferrari (che, aggiungo io, non gli interessava avere né avrebbe mai saputo mettere in moto) si accontentava di piccole cose: libri, pipe, cravatte e infine Swatch. Con tutto quello che in una vita ha speso per l'acquisto dei suddetti beni avrebbe potuto essere tranquillamente cliente dell'azienda di Maranello! Ma, come direbbe la mia amica Mariafrancesca, una Ferrari qualifica (è una spesa che non puoi nascondere e, se sei sposato, la devi necessariamente denunciare al coniuge), uno Swatch no! E se ne hai 50? Probabilmente Mariafrancesca direbbe che non qualifica comunque a meno che tu non li abbia comprati tutti in una volta.

Forse è per questo che quando ricevetti il mio orologio per la Laurea mio papà quasi si meravigliò per la mia incontenibile gioia (ancora oggi quello è il mio OROLOGIO). Probabilmente si chiedeva perché non avessi preso uno Swatch dalla sua (ma anche nostra) collezione.

L'orologio è uno status symbol (come e forse più della macchina!). Alzi la mano chi non si è lasciato tentare dai falsi che si trovano durante i viaggi in oriente o nei paesi asiatici.
Però lo Swatch lo ha sdoganato con sole 50 mila lire.
È un fenomeno di costume interessante e vecchio come il mondo.

Devo avere un orologio bello e importante, se è un ricordo di famiglia meglio ancora e lo esibisco (magari non sul polsino!) perché mi dà un ruolo, poi però non ci penso un attimo ad indossare lo Swatch, anche se costa meno di una qualunque sottomarca o delle imitazioni comprate all'estero, perché è una moda.
Certo che siamo strani!

Ps il mio Swatch preferito della collezione di papà ce l'ho ancora. Si chiama One hundred million ed è stato realizzato per celebrare il traguardo della produzione. Eccolo qui: